L'amore. Ah, l'amore. Quanti di noi l'hanno provato?
L'amore. Ah, l'amore. Il più potente degli incantesimi
o la più letale delle maledizioni?
Bernie
Viveva a Yamman, un villaggio sperduto nei boschi, una giovane elfa.
Il destino l’aveva dotata di fascino e carisma.
Fin da piccola l’aveva contraddistinta una bellezza particolare. Una bellezza che nessuno riusciva a definire. A detta di molti una bellezza magica. Crescendo aveva imparato a sfruttare molto bene questa sua caratteristica per poter vivere una vita di lusso e divertimenti, non sempre con nobili intenzioni, questo bisogna ammetterlo. Ammaliava gli elfi più facoltosi del luogo per i propri comodi e utilizzava l’amore che essi provavano per farsi coprire di doni e lodi. Ma quando, inevitabilmente, finivano l’oro da poterle donare ella si stancava e li abbandonava in cerca di un altro benefattore.
Era una giovane affascinante e intelligente e riuscì a sfruttare queste qualità al massimo. Ma il tempo passava e la bellezza le stava diventando d’ostacolo.
Ora non solo il suo fascino era conosciuto ma, con esso, anche la tremenda fama che si era costruita negli anni.
Venne chiamata in molti modi, tutti negativi e volgari. La maggior parte degli elfi la conosceva come “La predatrice di cuori”.
Ma come può una storia riguardare una donna che tutto ha fatto per se stessa ma nulla per gli altri?
Ebbene, il destino riserva spesso la sua ironia ai malvagi e questa storia ne sarà una dimostrazione.
Un giorno stava passeggiando per la città di Ponhen in cerca di una nuova vittima. Arrivò nella strada principale, dove i costosi artigiani avevano la propria bottega.
Dalla parte opposta della strada vide un elfo intento ad ammirare alcune pregiate spade. Ne riconobbe il benestare dagli eleganti vestiti bianchi e blu che indossava e dai dorati orecchini che portava. Inutile dire che ne fu subito abbagliata. La predatrice aveva individuato una nuova vittima? Forse.
Sentiva un qualcosa di diverso in lui però. Un qualcosa che mai aveva provato e che le avrebbe cambiato la vita per sempre, ma quel bel giorno ancora non se ne rese conto.
Si avvicinò a lui come un gatto in cerca di attenzioni. Portava una stretta camicia tenuta composta da dei pantaloni celesti. Alla cintura di nera pelle erano appese alcune catenine d’oro e di minerali pregiati. Le sue mani erano coperte da delicati guanti bianchi e alle orecchie portava pendenti argentati.
«Buongiorno.» gli sorrise. I suoi occhi magnetici lo fissavano come un predatore fissa la preda.
«Salve.» ricambiò l’elfo, toccando delicatamente la tesa del suo cappello. Ricambiò rapidamente lo sguardo e tornò ai suoi affari.
«Cosa ricercate?»
«Ero incuriosito da questo stocco.»
«Sembra essere pregiato. È forse speciale?»
«Un bravo fabbro l’ha forgiato, si vede. Credo sia la terza arma più ben fatta che i miei occhi abbiano avuto modo di osservare. Tuttavia sono le nostre emozioni a rendere speciale un oggetto, non la fattura. Mi piace pensare che nulla nasce speciale ma tutto lo può diventare.»
«Sei il primo che sento dire una cosa del genere, sai?»
Il giovane elfo si girò e la guardò dritta negli occhi. La ragazza ebbe un sussulto e provò a celare la propria sorpresa. Aveva un qualcosa dentro. Quel che prima sembrava essere un piccolo fastidio si faceva sempre più pesante mentre gli occhi azzurri del giovane la fissavano.
«Mi spiace che mi abbia incontrato solo ora, se così stanno le cose. Posso sapere il tuo nome?» sorrise lui.
«Limah. Dispiace pure a me a questo punto. Ma sono curiosa, crede che sia così anche per le persone?»
«No, per loro non è così.» disse girandosi di nuovo ad ammirare le spade.
«Vuoi forse dire che alcune persone sono speciali e altre no?»
«Voglio dire che ognuno di noi è speciale fin dalla nascita, da qualsiasi luogo noi arriviamo e qualsiasi carattere noi abbiamo. Il fatto è che con le persone questo essere speciale va scoperto, non forgiato. Non si crea qualcosa di speciale in noi, lo si trova e lo si smussa, col tempo e la fatica. Lo paragonerei a un minerale pregiato. Lui è speciale da quando è creato. Sta a noi trovare quel minerale e modificarne la forma, non crede?»
Limah rimase in silenzio a guardarlo. Faceva fatica, molta fatica. Sentiva di dover togliere lo sguardo, di non riuscire a sostenere ciò che aveva davanti. Però non ce la faceva. I suoi capelli bianchi, il suo volto… Nulla di più bello le sembrava di aver mai visto.
Lui si girò a guardarla, sorridendo. Solo a quel punto sembrò essersi ripresa un minimo.
«S-sì, credo di sì.»
«Ora dimmi, Limah: Tu hai già trovato il tuo minerale?»
L’elfa arrossì. Iniziò a sentire caldo, a sentirsi pesante. Non capiva cosa le stava accadendo. Tra tutti quelli che aveva incontrato, mai nessun altro le aveva fatto un effetto simile. Ma soprattutto nessuno mai le aveva parlato così. Abbassò lo sguardo incapace di rispondere.
«Sembri una persona interessante, Limah. Ti va di vederci domani al limitare del bosco? Una passeggiata con te per conoscerci meglio, tutto qua.»
Lei non rispondeva. Riusciva solo a guardare il terreno. Non aveva idea di cosa le stesse accadendo e aveva paura, molta paura. Sembrava un innocente incubo, un qualcosa di preoccupantemente nuovo e non sapeva come agire. La sua mente sembrava essere bloccata a ragionare sul nulla.
L’elfo le prese dolcemente il mento è lentamente l’alzò, fino a che gli occhi di Limah non incontrarono i suoi.
«Dunque?» chiese sorridendo.
«V-va bene, sarò lì.» gli rispose, mordendosi il labbro.
«Ottimo Limah. Direi che potremmo incontrarci alle cinque. Si è fatto tardi, devo andare. A domani.»
Quando l’elfo fu a qualche passo da lei la giovane gli chiese, allungando la mano:
«Aspetta, non so il tuo nome!»
«Myon.» disse l’elfo continuando a camminare velocemente. Sparì come uno spettro tra la folla.
Limah si disse fortunata che lui non si voltò. Un altro sguardo come quelli non ne aveva mai ricevuti. O forse non era lo sguardo ad essere il problema. Cos’era quello che sentiva? Cosa stava provando? Perché? Passò tutto il pomeriggio a porsi queste domande e non faceva che pensare a lui. Le aveva forse fatto un incantesimo, credeva. Solo la magia poteva provocare sensazioni simili, si diceva.
Tornò alla taverna in cui si era presa una stanza e non uscì più fino alla mattina seguente.
La notte fu agitata e insonne. La Luna non le aveva concesso sogni ne riposo e lei non capiva perché. Sentiva un peso nel petto, come un macigno che mai aveva sostenuto. Ripensava a quel volto e a quelle parole in continuazione. Non c’era rumore o luce che la distraeva. L’unica luce che vedeva era quella negli occhi di Myon. L’unico rumore che sentiva era la sua voce che la copriva e la cullava, senza però concederle riposo. Non sapeva decidere se presentarsi all’appuntamento con quel magnifico, spregevole elfo, come lo chiamava.
Il giorno passò e le portò il coraggio necessario. Quando giunse al limitare della foresta Myon era già lì. Stava ammirando le foglie di una quercia quando la sentì arrivare.
«Buona giornata, Limah. Come ti senti?» le chiese, prendendole la mano e avvicinandone le labbra al dorso.
«Piuttosto stanca, a dire la verità. Questa notte non è stata benedetta dalla Luna…»
«Oh, mi spiace davvero. Se ti può consolare non è stata clemente nemmeno con me. Il posto che pensavo di raggiungere, tuttavia, non è lontano e penso ti piacerà. Ti faccio strada, seguimi.»
La portò lungo un sentiero abbandonato da chissà quanto tempo. Chissà quanti amori passarono per quelle disperse vie. Nessuno dei due sapeva che pure loro sarebbero arrivati a far parte di quegli amanti.
Le prime foglie stavano già iniziando a coprire la vecchia, malconcia stradina mentre l’aria si faceva più fresca. Antichi guardiani di roccia, ormai nascosti dalla folta vegetazioni, vegliavano sui due elfi che mano nella mano percorrevano la strada.
Parlavano e scherzavano, giocavano tra di loro. Limah non ricordava nessuno che l’avesse mai trattata in quel modo. O forse erano le persone sbagliate ad averlo fatto, chissà.
Raggiunsero infine uno spiazzo posto su una collina. Aveva la forma di un antico teatro, la cui cavea era occupata da aceri di rosso acceso. Alla base dei gradoni uno spiazzo si abbandonava sulla valle sottostante, mostrando un sole che lentamente scendeva dietro le distanti fronde sanguigne.
«Porti sempre qui le ragazze con cui vuoi fare colpo, Myon?»
«Non offendere la bellezza di questo posto, ti prego.» rispose sorridendo.
«Porto qui solo coloro che meritano la mia attenzione.» continuò guardando verso l’orizzonte. I suoi occhi tornarono presto a quelli dell’elfa.
«E tu fai parte di queste.»
Un dolce silenzio accerchiò i due che si fissavano negli occhi. La giovane non aveva mai creduto nell’amore a prima vista, non fino ad allora. I ricordi di tutti i cuori che aveva spezzato ora la fecero sentire mortalmente in colpa. Ma tornò a guardare gli occhi dell’amato e tutto sembrava scomparire. Non esisteva spazio o tempo, ora, che non riguardasse loro.
«Sdraiamoci, tra poco il sole andrà a scaldare altri cuori.» disse Myon, stendendosi sullo spiazzo in pietra bianca. L’elfa si sedette accanto a lui, tenendogli sempre la mano.
«Myon, sei diverso da chiunque abbia mai incontrato.»
«Anche tu lo sei, Limah. Hai trovato il tuo minerale?»
La ragazza si voltò verso di lui.
«Credo di aver trovato chi mi aiuterà a cercarlo.»
Pure il fanciullo si girò e gli occhi si incrociarono. Nemmeno il tramonto che accendeva di rosso il cielo riuscì, in quel momento, a separare i loro sguardi.
L’elfo allargò il braccio e Limah si sdraiò, lasciandosi catturare. Si tennero così a lungo.
Lei sentiva le forti e decise mani massaggiarle delicatamente la testa e i capelli. Quel dolce, gentile movimento sul capo la rilassava. Quelle mani la facevano sentire così protetta che non si ricordava nemmeno d’essere sotto un cielo sanguinante. Percepiva come un caldo vento il respiro sul suo viso, sui suoi occhi chiusi.
Si addormentò così su di lui, fissando il cielo stellato. Fu solo quando la Luna vegliò alta su di loro che si risvegliò. Anche al suo risveglio percepiva chiaramente il tocco di Myon e non diceva nulla. Si sentiva finalmente accolta. Si sentiva come mai si era sentita nelle braccia d’altri. E non c’erano monete in grado di dissuaderla dal rompere quell’abbraccio.
Lentamente il ritmo con cui l’accarezzava diminuiva man mano che la Luna bianca scorreva sulle loro teste. Quando cessò completamente si girò a guardarlo. La luce della luna risplendeva sulla bianca pelle dell’elfo. Quelle forme, quelle ombre. Avevano qualcosa che Limah non sapeva decifrare. Qualcosa che lei non sapeva comprendere. Una bellezza unica nella sua semplicità. Una maestosità particolare nella sua completa normalità e sobrietà. Inconsciamente aveva iniziato a passare la propria mano dolcemente sulle calde gote del ragazzo.
«Che cosa mi hai fatto… Mi hai portato la maledizione dell’amore e nulla posso fare per scappare. I tuoi occhi, i tuoi occhi. Se solo ti avessi conosciuto prima… » sussurrò sorridendo.
Myon si destò solo all’alba, ancora era cullato dall’elfa.
«Decisamente uno dei migliori risvegli che abbia mai avuto.» sorrise lui.
«Decisamente una delle migliori notti che abbia mai passato.» rispose lei, anch’essa sorridendo.
«Che dici di continuare, allora, a passare notti piacevoli?»
L’elfa sembrava confusa.
«Ho giusto una villa poco lontano da qui e, oltre alla servitù, la compagnia scarseggia. Perciò ti chiedo: Che dici di venire ospite da me?»
Lei si strinse ancora più forte a lui, continuando a ripetere «Sì! Sì! Sì!»
Ebbene, i giorni passavano e i due giovani si scoprivano sempre più, scherzando e parlando. Qualcosa tra loro s’era acceso da molto ma solo ora entrambi lo sapevano.
Passò un mese e Limah, un pomeriggio, trovò Myon guardare fuori dalla finestra. Sembrava appesantito dai pensieri. Appesantito come mai era stato da quando erano insieme.
«Myon, cosa ti turba?»
«Sono i dubbi. Dubbi a cui forse prima una risposta era stata data ma a cui, ora, do ascolto.»
Lei si affiancò a lui, appoggiandogli la mano sulla guancia.
«Cosa provi per me, Limah?»
In tutto il tempo che avevano trascorso assieme questa tanto semplice quanto complicata domanda mai era stata fatta da nessuna delle parti. Arrivò all’improvviso con una forza distruttiva.
«Per te? Un qualcosa che mai avevo provato per nessuno.»
Il fanciullo si girò a guardarla. Il volto era serio.
«Di te mi sono innamorata perdutamente da molti giorni.»
«Mi parlavano di te già prima che t’incontrassi. Ti conoscevo ancora prima che mi parlassi la prima volta.»
Il volto di Limah si fece confuso e preoccupato.
«Mi parlavano di te, Limah, e le parole non erano mai buone. Ti chiamano la Predatrice di cuori, lo sai?»
«Lo so, Myon. So anche che mi chiamano così perché così prima ero. La testa comandava il cuore e i sentimenti erano sopraffatti dagli interessi. Ma… Ma con te è diverso, lo sai. Tu sei diverso. Ora è il cuore che comanda e questo comando vuole solo te.»
«Come posso sapere che non sono parole di miele con un cuore velenoso?»
«Non posso dimostrartelo se non mi darai la possibilità di farlo. Solo così gli innamorati si scoprono, no? È nel caldo abbraccio di una notte, nel sorriso di un mattino, nel bacio dato quando il sole cala.»
«Capiscimi, Limah. Anche il mio cuore è preso, ma la testa tiene le briglie e mi ferma. Vorrei anche io potertelo permettere. Sogno anche io una vita con te ma non posso farlo.»
Limah cercava di trattenere le lacrime.
«Un bacio soltanto ti chiedo, mio amato. Che il Rosso Giudice vegli sul nostro primo bacio, così il nostro destino verrà deciso. Lasciami questa possibilità, ti prego. Rispetta il mio cuore.»
«Predatrice ti chiamano perché non hai mai rispettato i cuori degli altri. Come puoi chiedermi una cosa simile? Come posso davvero fidarmi?»
«Guardami negli occhi, Myon. Ti sembrano gli occhi di chi non prova amore?» chiese lei. Alcune gocce uscivano timide dagli occhi e scavavano lentamente il suo volto.
«I tuoi occhi no, ma l’amore che provi è verso di me o forse verso le mie terre?»
«A te non chiederò una singola moneta o un singolo pezzo di terra, amore mio. Che venga sparso tutto tra le ceneri se necessario, poiché io bramo solo te. Non sono qui per ricchezza ne fama. Sono ancora qui perché il mio cuore soffre. Soffro perché la mia mente è occupata solo dal tuo volto. Sono qui perché… perché… Perché ti amo, che tu ci creda o meno.»
«Voglio fidarmi, Limah. Sarà il Giudice Rosso a mostrarmi ciò che richiedo. Ci daremo il primo bacio laddove il primo abbraccio avvenne. Vedremo cosa dirà il cielo del nostro amore.»
Di fretta e furia corsero nella foresta.
Superarono ancora i silenti guardiani di roccia e arrivarono laddove gli aceri risplendevano. Raggiunsero lo spiazzo in pietra appena in tempo. Il Giudice Rosso, il tramonto, stava per morire. I due amanti si guardarono negli occhi lucidi. L’uno vedeva l’anima dell’altra. Ne percepiva la passione. Si avvicinarono lentamente, come lentamente il sole calava. Sentivano l’uno il respiro dell’altra. Poi fu la passione. Le soffici labbra s’incontrarono.
Un'esplosione nei cuori di entrambi. Un fuoco si era appena acceso e la fiamma bruciava alta. Un fuoco che era testimone del loro amore.
Il Rosso Giudice aveva dato il suo verdetto e l’amore riempì i loro corpi. Arrivarono al culmine del loro sentimento proprio su quelle pietre, sotto un oscuro cielo. Limah sentiva che nulla ormai contava. Solo loro due, nient’altro.
Nell’oscurità della notte iniziarono ad incamminarsi verso casa quando sulla via un’ombra arrivò dinanzi a loro.
«Limah, mi hai rovinato! Ora avrò la mia vendetta!» urlò prima di lanciarsi sulla giovane.
Myon prese lo stocco e spostò la sua amata. Il pugnale lo prese al petto ma la caccia dell’ombra non era finita. Subito sfilò il coltello e si volse verso l’elfa ma, prima che potesse muovere un singolo muscolo, venne trafitto alle spalle.
Il fanciullo, nonostante il dolore, aveva avuto la prontezza di estrarre un coltello nascosto dalla cintura. Una furia indicibile prese possesso del suo corpo e si scagliò contro l’assassino. Una sola pugnalata non bastava però a colmare la rabbia.
Riversò su di lui tutta l’ira che ancora aveva fino a cadere stremato a terra. L’ombra più non si muoveva, ma pure Myon aveva perso molto sangue e iniziava a sentire freddo. Nessuna parola riusciva a uscire dalla sua bocca, ma gli occhi continuavano a fissare lucidi la ragazza.
Immediatamente Limah si piegò sul corpo dell’amato. Era esplosa in un pianto disperato e copriva la ferita con la mano.
Ci fu un lampo di fronte a lei e una figura si fece strada nella foresta. Teneva sopra la testa coperta da un cappuccio porpora una lanterna. Il corpo era interamente coperto da un tabarro dello stesso colore del cappuccio.
«Ti prego, aiutami! Il mio amato sta morendo! Aiuto!»
L’individuo continuava a camminare silenzioso verso l’elfa e quando le fu a qualche metro schioccò le dita.
Tutt’attorno gli alberi furono coperti da un nero telo funebre e in quell’oscurità erano visibili solo lei, il corpo di Myon e lo sconosciuto.
«Giovane elfa, colui che chiamavi amato è morto ormai. La lama gli ha trafitto il cuore e lui non ha avuto nemmeno il tempo di soffrirne, se ti consola.» disse. La sua voce sembrava rimbombare in quel nulla.
Limah gridò, straziata dal dolore. Si sentiva morire. Voleva solo che Myon tornasse da lei.
«Ti prego! Ti darò qualsiasi cosa ma salvalo!»
«Sono giunto qui apposta da molto lontano. Sapevo che avrei trovato una donna, una regina da accontentare. Ebbene posso salvare il tuo amore, ma tutto ha un prezzo e questo servigio è molto, molto costoso.»
«Sono disposta a tutto! Soldi, potere, terre! Qualsiasi cosa, ti prego!»
«Un patto. Non devi far altro che accettare un patto. Il tuo amato si salverà e per sempre insieme sarete. Ma dovrete vivere in una bianca gabbia fintanto che io salvo sarò. Accetti questo accordo?»
«Sì, lo accetto! Ma ora salvalo!»
In verità non lo aveva ascoltato. La testa era trafitta dal dolore, come il petto in fondo. Avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa affinché Myon, colui che amava, non morisse.
La figura lasciò la lanterna, che rimase immobile sulle teste dei tre.
Un fumo rosso iniziava a fuoriuscire dal cappuccio, disperdendosi nel vuoto sopra di loro.
Poggiò la propria mano sinistra sul petto di Limah e la destra su quello di Myon e con una voce profonda e innaturale iniziò a recitare:
“Un patto è stato accettato e la parola data verrà rispettata. Il tuo Re non perirà e insieme sarete fintanto che io salvo sarò .”
Lo sconosciuto spostò lo sguardo su Limah.
I due amanti però non se ne accorsero. Un bacio colmo d’amore e disperazione li teneva incatenati.
«Una Regina colma d’amore, il cui cuore non è che per il suo Re.»
Il suo corpo venne ricoperto come un velo dal fumo e sembrava perdere man mano spessore. Non appena toccò il terreno questo manto si disperse, mostrando ciò che era successo.
Limah venne tramutata in una carta. Il fanciullo sbarrò gli occhi, come risvegliatosi da un brutto sogno.
«Un Re disposto a morire che rimarrà sempre accanto alla propria Regina.»
Myon lasciò cadere il pugnale e prima che riuscisse ad afferrare quella misteriosa figura si tramutò in una seconda carta.
«Infine il custode dei due amanti. Fante di cuori, ora li proteggi.»
Una terza carta cadde dall’alto, proprio di fronte allo sconosciuto.
«Il patto è così mantenuto, Myhunnun. Il Maestro delle Carte la prima missione ha compiuto.»
Una risata demoniaca rimbombò nel vuoto mentre l’individuo coperto dal tabarro raccoglieva le tre carte e le univa al mazzo che portava con sé.
Dopo aver nascosto di nuovo le carte sotto al lungo mantello riprese la lanterna. Il fumo e la risata si interruppero. Il vuoto si riempì ancora d’alberi e morte.
Quel giorno Limah e Myon scomparirono. Nessuna traccia si lasciarono alle spalle tranne l’assassino e la lama insanguinata. Il coltello è ancora conservato e viene chiamato “Pugnale degli amanti”, mentre la leggenda della Predatrice di cuori sempre sopravvive.
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