Dalle piccole finestre, l’omone guardava il panorama. Si muoveva goffamente nella piccola saletta, pur mantenendosi con un portamento fiero e nobile. Impettito attendeva con ansia che buone notizie entrassero dalla porta. La mappa sul tavolo era illuminata dalla flebile luce di una candela, ormai quasi spenta. E mentre da una parte una fiamma si spegneva, dall’altra il sole si alzava dall’orizzonte.
Sentii prima i passi metallici che facevano scricchiolare il vecchio legno del pavimento, poi il cigolio della porta. Un soldato si bloccò portando il messaggio da molto atteso.
«Signore, i Ratti…»
Gli occhi di Monn si accesero.
«E quindi è questo il momento. L’epilogo di questo inutile fastidio… Bene, andiamo in sala di comando!»
Corse fuori, prendendo al volo la carta sul tavolo e lasciando cadere la candela ormai morta sul pavimento.
Qualche ora prima, il piano dei giovani aveva preso vita. La piazza del vecchio salice, perenne simbolo delle periferie, iniziò a brulicare di Ratti. Le piccole pattuglie delle Aquile vennero rapidamente e silenziosamente soppresse. I rivoltosi iniziarono a dirigersi nei luoghi stabiliti per lo scontro.
Lauren, al comando di una ventina di uomini, iniziò ad arrampicarsi sull'albero per montare la propria postazione. Con lei salivano tutti gli altri, più arrabbiati e desiderosi di vendetta che mai. Rapidamente le posizioni furono prese e gli esemplari di JJKR-22, perfezionati per poter scagliare quadrelli al posto di semplici tuberi, vennero puntati dove le Aquile avrebbero attaccato qualche tempo dopo.
Iwon era con lei e la guardava ai piedi del Salice, nascosto tra le fronde. Comandava una trentina di guerrieri, armati come meglio si poteva tra spade o lance recuperate e scudi improvvisati. Ma se l’equipaggiamento scarseggiava, lo spirito divorava il loro cuore e la loro mente. Non si potevano più definire coscienti o razionali. Alla stregua delle bestie che popolano le foreste più selvagge scalpitavano e festeggiavano ad ogni goccia di sangue delle Aquile versata sulla fredda pietra.
Anche loro, dopo aver sistemato a modo i cadaveri delle pattuglie, presero posizione sotto il Salice. Ansiosi ed eccitati come lupi affamati di fronte ad una grossa preda, attendevano l’inizio della fine. Tutti in quella città sapevano che in quel giorno si sarebbe conclusa la vicenda, in uno o nell’altro senso.
Da Iwon a Monn, nessuno si sarebbe più nascosto.
«Ratti, fate i sentimentali adesso? Al vecchio salice… Bene, mandate sessanta Aquile là! Ci penseranno loro.»
«Ma abbiamo molti più soldati. Perché non li schiacciamo subito?»
«Idiota, credi che manderanno tutti gli uomini che hanno lì? È una posizione di un certo valore emotivo, è vero. Ma loro sono più strategici, lo so. Fidati, se colpiranno col grosso delle forze lo faranno in altri luoghi. E ora fai ciò che ti ho ordinato!»
«Certamente, Signore.»
Il vento soffiava per le strade di Magh’Dragar. Non era un vento dolce né lieto. Non era più il gentile messaggero d’amore protagonista delle leggende del posto. Non portava più la voce del fiume agli abitanti della Perla Bianca.
In quel giorno, sotto quel sole, portava con sé le grida incattivite della folla che si era appostata nella piazza del vecchio salice. Passava tra i capelli di donne e uomini, scavalcava i loro corpi ammassati come un unico, tetro muro e correva verso le Aquile, portando loro maledizioni e versi animaleschi.
Il folto gruppo di uomini in armatura si avvicinava sempre più alla piazza. Man mano che le grida e gli strepiti si facevano più forti i primi totem di morte vennero ritrovati. Martoriati e appesi ai muri giacevano i corpi ormai spogli di alcune Aquile. Uno spettacolo raccapricciante che faceva rallentare il gruppo di soldati.
Un giovane Capitano, nel tentativo di mantenere salda la truppa, iniziò un coro che a fatica contrastava le bestialità che arrivavano dalla sempre più vicina piazza.
«In battaglia vado, in guerra sono! Fiero soldato canto, del nemico son l’incubo!»
Quel piccolo, importante gesto sembrava riuscire a trattenere la compatta formazione intanto che gli orrori passavano dietro i soldati e a distogliere la loro attenzioni sulle brutalità che li circondavano.
Arrivarono alla piazza e si fermarono. Davanti a loro, una variegata formazione di rivoltosi rimaneva immobile, lanciando ai nemici insulti e occhiatacce compiaciute.
Il Capitano si girò, guardando e contemplando i suoi guerrieri.
«Con molti di voi sono cresciuto, fratelli miei, e sono giunto fino a qua. Se oggi dovremo conquistare la morte, lo faremo con onore. Non lasciate che questi inutili rifiuti prendano la vostra pelle con facilità. Noi vinceremo, qualsiasi cosa accadrà. Se non sarò più vivo alla fine di questa battaglia, vi attenderò dall’altra parte come vincitori. NOI SIAMO AQUILE, CARICA!»
Un grido eccitato risuonò per tutta la piazza mentre lo stridio delle armature accompagnava la corsa. Iwon e i suoi rimasero fermi.
All’improvviso dagli alberi una pioggia di dardi investì l'uniforme massa di ferro e carne.
Il giovane Iwon rimase di fronte al folto gruppo di guerrieri. Le braccia tese, in attesa che la pioggia di frecce cadesse sul gruppo. Di fronte a sé molti uomini caddero prima di poter arrivare anche solo a sfiorare la formazione dei Ratti.
Quello che doveva essere il Capitano, nonostante i due dardi conficcati nelle spalle, continuava a correre e urlare. Doveva essere stato un bravo soldato. Aveva guidato i suoi uomini in battaglia e non si era fermato. Aveva promesso loro onore e onore aveva mostrato.
La clemenza di Iwon però non era presente quel giorno. Il soldato ferito gli arrivò a qualche passo e provò ad abbattere il colpo sul Generale dei Ratti. Fu però troppo lento. La corsa lo stava stancando e la furia non bastò ad ignorare il dolore. Iwon ebbe il tempo di guardare nei suoi occhi. In quell’istante era riuscito a percepire tutta l’ira e il sentimento che il giovane Capitano provava in quel momento.
«Forse…» pensò: «... non siamo così diversi.»
L’istante passò e il Generale dei Ratti non fece che un preciso gesto. La vita che animava gli occhi del soldato sparì in fretta mentre il sangue gli colava dalla gola. La sua andatura rallentò fino a quando non cadde esanime. Iwon lo vide mentre si gettava a terra con le mani al collo. Non si era inginocchiato.
«Non siamo diversi.» disse tra sè.
Miracolosamente i Ratti riuscirono a mantenere la formazione, limitando le perdite e bloccando il poderoso sfondamento dei soldati superstiti.
Iwon rimase in un primo momento accanto ai suoi guerrieri. Solo quando una seconda raffica di frecce investì il restante gruppo di Aquile nelle retrovie rilasciò la sua furia, come liberando un mastino dalla propria catena.
Mulinando la spada a destra e sinistra, colpiva e mozzava i soldati con movimenti sinuosi. Non bastavano le armature a fermare la lama della Furia che, lasciandosi andare in una mortale danza, si stava portando sempre più al centro dello schieramento delle guardie.
Qualche timido tentativo avvenne anche da altri della formazione, ma solo in pochi riuscirono a resistere all’assedio delle Aquile.
Accecato dall’odio, aumentava il ritmo di quel folle ballo, man mano che il sangue dei suoi nemici toccava la lama della sua spada. L’elisir rosso che anima gli uomini usciva a fiotti dai cadaveri e si disperdeva sulla dura e fredda pietra della piazza, mentre i vivi si lasciavano andare nella mortale e macabra danza della battaglia.
Quel che passò nella mente di Iwon in quel momento nessuno lo sa. Nemmeno egli stesso, macchiatosi del sangue di tutti quegli uomini, riuscì a ricordare a cosa stesse pensando allora.
Ma spesso la mente non vuole ricordare ciò che ci fa soffrire. Sarebbe forse la massima espressione di crudeltà. Anche solo pensare a tutti i volti che a causa tua ormai giacciono sotto terra… Si dice che ti facciano sprofondare con loro se ti soffermi troppo su ciò che gli hai fatto. Dannazione se li capisco…
Alle Aquile restanti nessuna opzione sembrò migliore della fuga e abbandonando le armi iniziarono a scappare urlando. Ma la loro giornata ancora non si era conclusa. Da lontano un nuovo gruppo arrivava.
Alcuni occhi guardavano giù dai balconi. Le timide luci dell’alba non erano abbastanza fioche per nascondere la folla che andava dirigendosi verso il porto. Un’onda umana si riversò nelle strade giungendo fino ai moli. Le poche Aquile che avevano tentato di difendere le proprie barche venivano uccise e abbandonate alla corrente del fiume. I tesori che giacevano nelle stive delle navi Klyneiamenn venivano depredati dalla folla e portati sul molo. Le imbarcazioni vennero date alle fiamme e la folla impazzita iniziava a gridare e inveire contro il nemico comune.
Krammer e Seyta cercavano di far mantenere un contegno alla folla ma Pej e Moher sembravano volerla assecondare.
«Combattiamo, combattiamo, presto!
Perché il sole è già alto!
Perché il nemico è già desto!»
Cantavano queste parole guardando le navi bruciare e la folla brulicare. La cantavano per incoraggiare gli ultimi rimasti nelle proprie case a unirsi alla lotta. La cantavano perché sapevano che ancora non era finita.
Prima ci fu un richiamo, poi un messaggio che da una persona all’altra giunse infine ai quattro Generali.
«Le Aquile arrivano.»
«È il momento.» disse Seyta.
«Che Karth ci aiuti. Che Sjwerah ci assista.» pregò Pej, guardando oltre la folla.
«O che Kudrah felice ci accolga.» serio continuò Krammer.
«Buona fortuna a tutti noi, allora!» concluse Moher. I quattro giovani si divisero tra la folla e presero le proprie posizioni.
L’omone fissava incessantemente la mappa. Accanto a lui un soldato impettito rimaneva fermo quando un messaggero irruppe nella stanza.
«Un secondo gruppo di Ratti ha colpito e conquistato il porto!»
«È questa quindi la vostra ultima carta? Bene, vediamo chi vincerà questa partita. Mandate tutti gli altri uomini al porto. Voglio che venga ripreso il prima possibile e messo in sicurezza. Nessun prigioniero è concesso. Se necessario date fuoco alla città ma loro non devono fuggire. Richiamate anche i Cacciatori dal Cancello Nord.»
Il messo, dopo un inchino, si congedò chiudendo la porta.
«Qui mi gioco tutto…» mormorò il nobile, per poi portarsi alla finestra.
Keyla, seguita da un esiguo ma agguerrito gruppo di Ratti, accorse alla piazza. I Soldati che stavano scappando si trovarono accerchiati e a nulla valsero i loro tentativi di riscuotere pietà. Uno alla volta vennero uccisi tutti rapidamente.
«L, Wo!!! Presto!» chiamava Keyla, subito raggiunta dai due giovani.
«Che succede Key?» chiese Lauren.
«Un gruppo di Cacciatori in fondo alla strada! Ci stavamo dirigendo verso il porto quando li abbiamo incrociati. Non sapevo dove andare perciò vi ho raggiunti!»
«Cazzo, Cacciatori… » disse L, portandosi le mani alla testa.
I Generali non avevano calcolato la velocità con cui questi mercenari, posti a guardia dei cancelli, sarebbero giunti.
«Sono stati rallentati da dei cittadini che lanciavano vasi dalle finestre, ma… tra non molto dovrebbero essere qua.» continuò Keyla.
«Sai quanti sono?» chiese Lauren.
«Sulla ventina, forse poco più.» rispose la ragazza.
Dopo un attimo di silenzio, Iwon rapidamente disse:«Keyla, prendi i miei uomini e raggiungi il porto. L…»
«Lo so, lo so. Vado ad avvisare i miei di scendere rapidamente e di seguire Keyla.»
«Tu starai con loro, Lauren.»
«Non ci penso proprio. Senza di me non hai speranze. Se devi morire inutilmente, stupido Wo, ci sarò io con te!» rise Lauren, iniziando a correre sui rami.
Keyla abbracciò Iwon e corse oltre il vecchio salice, seguita dal resto dei rivoluzionari. Presto lo spiazzo insanguinato fu silenzioso.
«Compatti ragazzi. Più avanti c’è la piazza e non sappiamo cosa ci attende. Andate con cautela!» raccomandava una figura scura, coperta da un cappuccio marrone. Il mantello veniva scosso dal vento. L’aquila bianca ricamata sopra guardava il triste cielo in quel giorno funesto.
Silenziosamente questo individuo si muoveva tra le vie della città, portando con sé una ventina di uomini.
Sorpassò i totem, per nulla impressionato da quella barbarie. Né lui né i suoi uomini avevano mai avuto a cuore le sorti delle Aquile, ma fintanto che i soldi arrivavano si piegavano volentieri sotto quello stemma.
Giunsero alla piazza. Oltre ai cadaveri nulla più la popolava. L’uomo incappucciato esaminò con attenzione i corpi più vicini alla strada da cui erano venuti. I segni delle frecce erano stati celati come meglio si poteva, soprattutto considerando il poco tempo a disposizione.
Crearono ai limiti della piazza due lunghe file. Il capo tese la mano in alto, poi indicò il vecchio salice. I suoi uomini si prepararono.
«Ora!» gridò, accennando un lieve sorriso.
Un’ondata di frecce trapassò le fronde dell’albero ma il silenzio ancora governava su quella piazza. L’incappucciato non era convinto e ancora puntò contro l’albero. Abbassò il braccio e una seconda pioggia investì il salice. Questa volta delle strazianti grida di dolore si levarono.
Ridacchiando il Capo estrasse la spada e iniziò ad avvicinarsi all’albero, seguito immediatamente dai compagni. E mentre le grida sembravano non calmarsi, lentamente i passi del gruppo di soldati iniziarono a risuonare nella piazza. Raggiunsero appena la metà del piazzale quando Lauren iniziò a scoccare quadrelli senza sosta, colpendo in rapida sequenza gli ignari nemici. Il gruppo accelerò il passo. Fermarsi e usare l’arco avrebbe significato morte certa, soprattutto in campo aperto. Ma per la decina di sopravvissuti che giunsero a qualche passo dalle fronde non ci fu che un collerico ammasso di muscoli e ira ad attenderli.
Animata dalle grida di Lauren, la Furia di Magh’Dragar si abbattè come la tempesta sui propri nemici. Affondò la spada nel collo del cacciatore alla sua destra così velocemente che l’uomo non riuscì nemmeno ad accorgersi del movimento. Ne squarciò la gola quando, proseguendo verso il nemico accanto, spostò la lama fino a raggiungerne la spalla. Con un’indomabile rabbia squarciò il corpo della seconda vittima, che urlante cadde a terra.
Fino a quel momento nessuno dei Cacciatori aveva compreso quello che stava accadendo ma nel vedere i due compagni cadere ai piedi di Iwon indietreggiarono, cercando di proteggersi con le loro spade.
Ma lui non accennava ad arrestarsi. Sfilò la lama dal secondo soldato, dipingendo di rosso il terreno ai piedi del salice. Le grida del cacciatore aumentarono. I suoi lamenti squarciavano il cielo annuvolato e si disperdevano nel vento, triste messaggero delle atrocità commesse quel giorno.
La Furia balzò come un animale inferocito contro un terzo soldato che, tentando di bloccare il colpo con la spada si sbilanciò e cadde a terra, perdendo l’arma. Sopra di lui il ragazzo con l’odio di mille lupi negli occhi lo fissava e ringhiava. Due cacciatori provarono ad avvicinarsi per salvarlo ma Iwon, sentendo i passi, li neutralizzò con un unico colpo. Fiotti di sangue uscirono dalle gole dei soldati e ricoprirono di rosso il terzo steso a terra.
Ancora quattro guardie rimanevano in piedi, troppo terrorizzate per riuscire a muoversi rapidamente.
I Cacciatori non riuscivano a credere a quella violenza. Non erano in grado di comprendere come un giovane riuscisse a sfondare i limiti della ragione, arrivando in fondo alla bestialità che si cela nell’uomo.
Il Cacciatore a terra provava a dimenarsi e a chiedere perdono ma davanti a sé trovava un muro di focosa rabbia. Più provava a dimenarsi più il sorriso sul volto di Iwon si faceva inquietante.
«Non c’è pietà per esseri come voi!» urlò la Furia mentre conficcava la spada nel petto del Cacciatore.
Usando l’arma come bastone si alzò e iniziò a fissare gli altri soldati.
«Paura?» chiese con voce demoniaca.
Non appena finì di parlare scattò verso il Cacciatore più vicino. Il povero mercenario provò a contrattaccare con un fendente verso la testa di Iwon, ma fu troppo lento e un montante gli aprì la faccia in due. Nessun urlo si unì allo spettrale concerto che risuonava nella piazza, solo il rumore metallico della spada che colpiva il terreno.
Si erano avvicinati allo stesso tempo due Cacciatori. La Furia riuscì a deviare un affondo e, con un rapido movimento, si spostò dalla traiettoria del secondo colpo.
Approfittò dello sbilanciamento di uno dei due soldati per spingerlo sul compagno e, mentre cadevano, mostrava tutta la follia di quel momento con colpi tanto mortali quanto casuali. Sembrava stesse attaccando a caso, abbattendo colpi con la forza di un fabbro. Il loro dolore durò ben poco.
L’ultimo Cacciatore rimase in ginocchio incredulo. Iwon si avvicinò a passi lenti verso di lui e si fermò a qualche metro. Il soldato guardava alla Furia con occhi colmi di terrore e non riusciva nemmeno a chiedere pietà. Sentiva le parole bloccarsi nella gola. Il cervello non riusciva più a comandare il corpo, nemmeno quando Iwon alzò la spada sopra la sua testa.
Non gli concesse nemmeno il tempo di una preghiera. La Furia di Magh’Dragar aveva acceso ancora una volta il suo nome col sangue.
La testa del soldato fu divisa in due e il taglio raggiunse la base del collo, ma non fu questo ad attirare l’attenzione di Iwon. Dalle fronde sentiva Lauren urlare. Estrasse la spada dal cadavere e rapidamente si diresse verso la postazione della ragazza. Vedeva del sangue gocciolare e affrettò il passo. La trovò appoggiata al JJKR-22 mentre urlante teneva le mani sul petto e sulla gamba.
Iwon la caricò sulle spalle cercando di farle meno male possibile. Appena arrivati a terra la stese sull’erba.
«St-stupido Wo, pensavi di morirci, eh?»
«L, resisti. Ti porterò da Ehlya e ti sistemerà, vedrai.»
«N-No! D-devi vincere. Fallo per noi. Fallo per i Ratti.»
«Ti prego, non lasciarti andare! Abbiamo bisogno di te!»
Delle lacrime iniziarono a scendere dagli occhi dei due giovani.
«S-sono riuscita a farti p-piangere… Lasciami… Lasciami qui. Ti ho voluto bene e so che è così anche per te. Pos-so morire felice, ora. Tra le braccia di chi…»
L guardò negli occhi Wo.
«Sem-sembri molto p-più bello col sangue addosso.»
Iwon strinse a sé Lauren, cercando di non farle male.
Sentì un debolissimo abbraccio. Poi lentamente le braccia della ragazza si lasciarono cadere.
Il ragazzo si abbandonò ad un grido terribile. Un grido che squarciò il cielo. Un grido che portava un nero messaggio.
Mentre la Morte portava via l’anima della ragazza vide il senno di Iwon lasciarne il corpo.
Il giovane completamente coperto dal sangue guardò verso la postazione di Lauren.
Appoggiò il corpo a terra e chiuse gli occhi.
Al porto la compatta formazione delle Aquile aveva raggiunto i Ratti e, dopo una sanguinosa carica sotto l’incessante pioggia di dardi, si era violentemente scontrata coi rivoltosi. Una cruenta battaglia per la sopravvivenza imperversava tra le due fazioni.
I Generali dei Ratti, impegnati al loro meglio per coordinare le azioni e per ispirare i propri guerrieri, combattevano come delle divinità. Non c’era scudo in grado di fermare i loro colpi, né spada in grado di passare sulla loro pelle. Di tanto in tanto urla di piacere e rabbia si alzavano, spezzando la monotonia dei clangori che infestavano il porto della città.
Il coraggio e la foga non bastavano. La loro posizione era difficile da mantenere e non si poteva arretrare di un passo. Il fiume attendeva pazientemente anime con cui banchettare e non gli importava dello schieramento.
Vitale fu l’arrivo di Keyla che cambiò le sorti dello scontro, almeno in parte. L’inaspettato arrivo di quel manipolo di rivoltosi prese alla sprovvista le guardie e, quelle che non vennero uccise, dovettero arretrare.
Circondati e sorpresi, gli uomini di Monn Jhil Klyneiamenn si asserragliarono in una delle vie principali. Arroccati tra il muro di scudi e coperti anche dalle frecce dei JJKR-22, rimasero immobili e mantennero le posizioni. Più i Ratti provavano ad aprire varchi tra gli scudi e più perivano, perciò i Generali ordinarono ai sottoposti di mantenere le posizioni. Solo qualche proiettile veniva scagliato, nel vano tentativo di cercare qualche buco. Ma nulla cambiava.
I minuti passavano e il silenzio era improvvisamente calato come un velo sulla città. I Ratti guardavano quel muro di ferro come fosse una dolce preda intoccabile.
Ma se da una parte le Aquile trovavano una piazza infestata di rivoltosi, dalla parte opposta, appena entrato da una via secondaria, avvistarono un singolo uomo. Si avvicinava come un’oscura ombra , trascinando dietro il misterioso marchingegno che i Ratti avevano creato. Camminava lento e con lo sguardo fermo. Li scrutava da lontano, come il predatore che mira la preda. Come il carnefice che pregusta la morte della propria vittima. Non appena gli furono a tiro iniziò a scaricare ogni singolo quadrello della sua faretra contro le Aquile. Queste però prontamente si nascosero seguendo lo schema già applicato dalla parte opposta della formazione. I dardi si conficcavano nel muro di scudi, rimanendo assetati di sangue. Ma costui non accennava a fermarsi.
I passi lenti e scanditi in un qualche modo riuscivano ad essere, per i soldati, un rumore ben più preoccupante di quelli della battaglia o del fischio dei quadrelli in arrivo.
La Furia si stava avvicinando alle Aquile, sebbene queste ancora non lo sapessero.
Ma la situazione rimaneva drammaticamente in stallo. Le guardie da una parte, compatte e rinchiuse in quella barriera di ferro, e i Ratti dall’altra, che con tutti i mezzi possibili cercavano uno spiraglio, un cedimento.
La bilancia era perfettamente ferma e in equilibrio, rallentando il tempo e cristallizzando quel momento. Poi l’istante che durò troppo poco per i Ratti, un’occasione perduta. Un vaso scagliato da un balcone e crollato sulla formazione provocò un piccolo spiraglio. Troppo piccolo e poco duraturo per poterlo colpire. Ma non fu l’unico.
In quella drammatica situazione i cittadini rintanati nelle case avevano capito che c’era una possibilità. Avevano visto la luce che filtra potente tra le nubi della tempesta. Fu un primo raggio, ma che aiutò a far scomparire le altre oscure nuvole.
Altri seguirono quell’esempio, lanciando una qualsiasi cosa potesse rompere la formazione delle Aquile dai propri balconi. E queste, obbligate a rimanere immobili, non potevano rispondere. Poi arrivò il vento definitivo che portava la nave fuori dalla tempesta. Un paio di uomini decisamente forzuti avevano deciso, quel giorno, di cambiare le cose. Presero il loro armadio e riuscirono a scagliarlo oltre al balcone. Un enorme buco si creò e la formazione si ruppe definitivamente. Ora che i dardi arrivavano a colpire dentro quella ferrea rocca, i soldati videro l’unica via d’uscita praticabile. Mollarono scudi e spade e scapparono dai Ratti, finendo però inconsapevolmente verso la propria fine.
Infatti quelli che per puro caso sopravvivevano alle raffiche di dardi provenienti dalla schiera dei Ratti arrivavano a fare i conti con quella che venne conosciuta come la Furia di Magh’Dragar. Nessuno riusciva a scappare dalla sua morsa. Replicava la terribile danza che in battaglia già aveva mostrato più volte, ma con un’ira tale da fare impallidire mille bestie feroci. Il sangue colava e si spargeva sui ciottoli o veniva spruzzato sulle pareti delle case, mentre ad uno ad uno le Aquile venivano abbattute.
Molti cercavano di uscire dalla portata di quel mostro ma la follia permetteva al giovane di superare i confini del possibile. Si era trasformato in uno di quei guerrieri soprannaturali lodati e temuti nelle leggende. Quella magia tessuta nei miti ora impregnava il corpo e la mente di un folle, rendendolo un demone assetato di sangue.
Più rapido d’un fulmine l’iracondo giovane raggiunse l’ultimo soldato. Lo prese per il collo e con una forza inimmaginabile lo alzò da terra, per poi scagliarlo sulle pietre. Il boato fu così forte che tutti credettero che l’ultima Aquila di quella via fosse morta. Ma per sua sfortuna ancora respirava, seppur affannosamente, e questo alla Furia non andava affatto bene.
«Dove si trova il porco?»
«C-chi?» chiese confuso dal momento.
Iwon poggiò la punta della spada sul collo del soldato.
«Monn… Dove si trova il porco?»
«T-ti prego. Non uccidermi! M-M-Monn lo trovi p-più su. Seguite questa via e troverete una villa sulla destra. Fuori ha un cespuglio a forma di cervo. T-ti prego, risparmiami!»
Iwon però non aveva più controllo né pietà. Sembrava non aver compreso le richieste del ragazzo. No, lui stava pregustando il suo sangue sulla lama.
Semplicemente sorrise a quel giovane soldato e, lentamente, lo trafisse alla gola. Nessun grido, nessun lamento. Gli occhi si spensero mentre il sangue scorreva sul suo collo squarciato.
Il giovane lo fissò ancora per qualche secondo, mentre l’esercito di Ratti si assicurava che nessuno delle Aquile distese in quella via fosse morto. Il sorriso dalla sua bocca scomparve e si voltò giusto in tempo.
Di fronte alla folla i suoi vecchi e perenni amici lo guardavano preoccupati. Keyla sembrava essere l’unica ad aver capito tutto. Iwon guardò i Generali uno ad uno negli occhi e prese coraggio.
«Il Generale Lauren è morta! Si è sacrificata per fermare un gruppo di Cacciatori e assicurarci la vittoria in questo sanguinoso giorno!»
Quando appresero la notizia la maggior parte dei suoi amici si lasciarono andare ad un pianto disperato. Solo Seyta e Krammer rimasero immobili. La loro bocca tremava e tenevano le mani strette tra loro. Pej cadde sulle sue ginocchia e lasciò andare uno straziante grido di dolore.
Iwon attese qualche secondo mentre lo strepitio della folla divenne più forte. Alzò poi la spada al cielo. Il sangue grondava per tutta la lunghezza della lama e colava sulla mano e sul terreno.
«Lei è morta, è vero. Forse non avremo più una condottiera così ma non importa! Avremo il tempo di piangere i nostri amici, morti per la causa! Avremo il tempo di ricordare chi con noi e per noi ha lottato! Ma ora un nemico comune attende il suo destino! Questa volta non scapperà, ve lo assicuro! Questa… questa volta avremo la sua testa appesa al vecchio salice! Vedrà coi suoi spenti occhi ciò che ha fatto! Forza Ratti! Seguitemi! Monn ci attende e il suo sangue è mio!»
Iwon iniziò una furiosa corsa discendendo per la strada. A qualche metro l’inferocita folla lo seguiva, sbraitando e mulinando le proprie armi. Ad ogni passo che questa compiva le grida bestiali aumentavano di forza. Anche i Generali dopo un iniziale sconforto riuscirono a rialzarsi.
Il giovane arrivò infine alla villa designata. Il cancello era spalancato e all’entrata rimaneva impettito Monn Jhil Klyneiamenn in persona. Forse cercava di dare una sorta di serietà e onore alla sua morte. O forse semplicemente sapeva ciò che l’aspettava e non voleva soffrire oltre.
Qualunque fosse il caso ora si trovava dinnanzi la Furia. Erano stati nemici per così tanto tempo che Iwon faceva fatica a crederci.
Il nobile pose il suo sguardo sulla spada del Generale e sembrò voler dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo.
Iwon cadde in una follia omicida indescrivibile. Non aveva avuto così tanta cieca rabbia per nessun altro nemico quel giorno. Forse nemmeno il nobile fece in tempo a comprendere cosa stava per succedergli che si trovò la spada conficcata nel petto.
Ma alla Furia non bastava. Non era il suo sangue quel che cercava. Voleva sentirlo gridare. Voleva gioire della sua sofferenza. Voleva poter urlare a Lauren che ce l’aveva fatta.
Non affondò la spada poiché voleva lasciare in vita Monn, colui che gli aveva causato così tanto dolore. L’omone si dimenava ora a terra, con le mani sul petto. Urlava e lanciava maledizioni al giovane fuori controllo mentre il suo sangue impregnava il terreno.
La folla di Ratti sopraggiunta iniziava a festeggiare, lasciando al vento grugniti bestiali e urla compiaciute.
La pazzia di Iwon però non lo lasciò. Non gli bastava quello spettacolo. Ne voleva ancora e ancora.
Col piede tenne fermo il corpo del nobile mentre con la spada si concentrò sulla faccia. Conficcò la lama in entrambi gli occhi. Ancora le grida di Monn rimbombavano nelle orecchie dei presenti, ma ancora non gli bastava.
La Furia si mostrò in tutta la sua follia in quel momento. Continuò a martoriare il corpo di colui che gli aveva portato via tutto. Più lo colpiva e più si sentiva bene. Il calore del sangue che schizzava sembrava essere curativo per il suo animo. Ma più si sentiva bene più si ricordava di ciò che aveva perso e il suo odio cresceva.
Nessuno tra i presenti godeva più della situazione. Iwon si era trasformato in un macellaio e staccava con forza sempre più pezzi dal cadavere. Allo stesso tempo nessuno aveva il coraggio di fermarlo. Avevano temuto fosse completamente impazzito e aspettarono che la Furia si calmasse. Solo dopo un’ora Iwon crollò. Si sedette e si addormentò così, di fronte al martoriato e ormai irriconoscibile corpo di Monn.
La stirpe Klyneiamenn fu spezzata quel giorno e la guerra tra Aquile e Ratti cessò. Una lunga festa durata tre giorni imperversò per le vie della città, dove l’ordine venne ristabilito. Un nuovo e deciso sindaco si sarebbe preso cura della Perla Bianca.
Ma in quei tre giorni nessuno dei Generali si presentò alle celebrazioni di vittoria. Iwon era caduto in coma e non accennava a migliorare.
Tutti, da Ehlya a Seyta rimanevano accanto al suo letto. Pure sua madre, nonostante la sofferenza che ciò le provocava, non volle mai abbandonare la stanza.
Fu al pomeriggio del quarto giorno che il giovane Iwon si svegliò.
I ricordi, impressi a fuoco nella sua mente, ancora gli facevano male ma era felice. Lo scopo era raggiunto e ora le loro vite sarebbero migliorate.
Solo il ricordo di Lauren lo faceva soffrire. Appena riuscì a rialzarsi raggiunse il vecchio salice. Il dolce vento gli accarezzava le guance e gli portava la voce della ragazza. Chiudendo gli occhi sembrava di averla davanti. Riusciva a percepire il suo felice spirito davanti a lui. Rimase in silenzio a lungo.
Ora Iwon è lontano da casa. Il vecchio salice per lui è uno dei tanti ricordi di quella città. Uno di quelli che salgono quando si è soli a pensare. Uno di quei ricordi da custodire e proteggere. Ma a proteggere le periferie di Magh’Dragar c’è ancora quella ragazza che tanto tempo fa si sacrificò.
C’è lo spirito della Bianca Protettrice, rafforzato da coloro che ancora parlano di lei dinanzi alla sua statua.
Lauren Lyebn ora veglia con fierezza l’albero sotto cui morì quel nuvoloso giorno di tanti anni fa.
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