Ho ascoltato questa storia dalle parole del suo stesso protagonista… oh, che bei tempi quelli che mi hanno visto come direttore della scuola; li ricordo ancora oggi con una dolce nostalgia.
Ormis
«Federico, che leggi?»
«Io? Nulla!»
«Dai, fammi vedere!» All’ombra di un’immensa quercia, due ragazzini si contendevano un libro polveroso.
«D'accordo, tieni.» Federico, con un po’ di riluttanza, porse il vecchio volume alla sua amica e compagna di corso che, senza perdere nemmeno un istante, lesse il titolo a gran voce: «Sulla magia della natura del tempo. Di Cosimo Malatesta. Federico, ma è il libro del professor Malatesta!»
«Fai silenzio Claudia! Non urlarlo ai quattro venti.».
«Perché? Che male c’è nel leggere un libro?» la ragazzina corrucciò il viso in cerca di risposte.
«Beh - prima di fornire una vera e propria risposta, Federico ci pensò su - un segreto. La magia del tempo è pericolosa e temuta da tutti.»
«Non credo proprio.» obiettò Claudia indispettita.
In quel momento, una voce gentile e un poco gracchiante rispose alla ragazzina: «Dovresti invece, mia cara.»
«Professor Malatesta!» esclamarono in coro i ragazzi.
Il professore, sorridente, iniziò subito a chiacchierare con quel suo solito tono calmo e amichevole: «Devi sapere, cara Claudia, che la magia del tempo è temuta da molti, anche da grandi maghi. Come ben sai, per lanciare correttamente un incantesimo, ad un mago è richiesta un’accuratissima conoscenza dei fenomeni naturali che sta andando a manipolare; il tempo, poi, è particolarmente difficile da comprendere e studiare. Inoltre, ogni sortilegio ha un prezzo e gli incantesimi temporali sono, forse, quelli dal costo più cospicuo. Per questo sono in pochi a parlarne. I più coraggiosi, dico io. E tra questi figura anche il vostro vecchio e barbuto professore.»
I due ragazzini, ammaliati, lo ascoltavano incuriositi e un po’ intimoriti, bramosi di chiedere di più. Federico si fece avanti: «Professor Malatesta, voglio imparare anche io la magia del tempo!»
«Purtroppo, caro mio, - rispose gentilmente il professore - la nostra scuola non prevede nessun corso sulla magia del tempo. In realtà credo che nessuno abbia mai fatto domanda per aprirne uno del genere».
Federico, sentita la risposta, rimase visibilmente deluso, tanto che il professor Malatesta cercò subito di rincuorarlo: «Però se volete posso mostrarvi qualche trucco.» disse facendo l’occhiolino ai due ragazzini. Questi ultimi annuirono vivacemente e, all’unisono esclamarono un felicissimo «SÌ», entusiasti all’idea di scoprire i segreti del tempo.
«D’accordo allora, venite con me.» il professore, felice di aver alimentato la curiosità dei suoi due allievi, si diresse verso il melo che si trovava nel giardino della scuola, staccò un frutto dall’albero e lo iniziò a sgranocchiare. Arrivato al torsolo della mela, ne raccolse i semi; poi si accovacciò per terra, scavò una piccola buca, ce li buttò dentro, e la coprì nuovamente.
«Guardate attentamente.» disse ai due ragazzini che iniziavano a immaginare che cosa sarebbe successo. Dopo di ché farfugliò qualche parola incomprensibile, fece un gesto veloce con le mani e, infine, soffiò sulla dunetta di terra che aveva appena creato. Al suo soffio sbocciò un germoglio che si mise a crescere, sempre più velocemente, diventando in pochi secondi una pianta robusta. Claudia e Federico non credevano ai loro occhi e rimasero entrambi a bocca aperta di fronte a quella piccola meraviglia. Poi, tutt’a un tratto e con tono squillante, Claudia prese parola: «Basta, ho deciso, voglio diventare la più brava maga del tempo di sempre.»
«Poffarbacco, ce ne hai di strada da fare ragazza! Però nulla è impossibile se ti impegni e fai ciò che ti piace.» rispose sorridente il vecchio professore. Dopo di chè, ancora distratta dall’alberello appena cresciuto, la ragazzina diede voce a un altro suo pensiero: «Se riuscissi a usufruire della magia del tempo, potrei studiare tutto quello che voglio, senza limiti...»
Alle parole, quasi sussurrate, della sua alunna, il professor Malatesta si fece per un attimo cupo ma, subito dopo, ritrovò la sua solita espressione allegra e amichevole. Poi rispose alla ragazza: «Sai, Claudia, mi dispiace deluderti ma non sei la prima a cui è venuta un’idea simile. Volete che vi racconti una storia?» lo sguardo che il professore rivolse ai due ragazzi, mentre aspettava la loro risposta, era strano, orgoglioso e spaventato, speranzoso quasi. Di sicuro, nessuno che conoscesse il professor Malatesta, lo avrebbe ritenuto capace di mostrare un simile sguardo.
«Sì professore.» risposero in coro i due allievi, felici della proposta. Il professor Malatesta era famoso, nella scuola di magia, proprio perché era riuscito a trasformare gli argomenti del suo corso, Evoluzione degli incantesimi naturali, dai tempi remoti ad oggi, in storie che colpivano chiunque si fermava ad ascoltarlo parlare.
«Bene. Vi racconterò una leggenda: la leggenda di Miramastro. Ne avete mai sentito parlare?» i due ragazzini scossero la stessa con molta foga. «D’accordo - riprese il professore - allora lasciate che vi parli di questa storia.
Miramastro è il nome di una piccola città di montagna, precisamente sul monte Siderius, a nord. Miramastro è una città molto tranquilla, caratterizzata dalla freschezza dell’aria di montagna, dall’odore pungente della vegetazione, del legno tagliato, del pane appena sfornato. Una città non dissimile da una qualunque altra città di campagna o di pianura. La leggenda vuole che, tra le accoglienti braccia della città di Miramastro, quasi centosessanta anni fa, nacque un innocente bambino: Galileo.
Galileo, fin da piccolo, mostrò una spaventosa curiosità per tutto ciò che gli era ignoto, gli piaceva esplorare tutti gli angoli del suo paesello, coinvolgendo i suoi coetanei; si divertiva anche a studiare, aveva imparato l’alfabeto quando era ancora molto piccolo e passava le giornate a leggere le insegne di tutti i negozi. Era un prodigio, infatti, fin da quando fu in grado di leggere, e di capire ciò che stava leggendo, s’immerse nei pochi libri che aveva in casa sua tra cui si trovava un manuale di semplici incantesimi domestici. Per Galileo quel piccolo libro si dimostrò un dono del cielo: divenne, in breve tempo, padrone di tutti gli incantesimi che quel piccolo volume conteneva e, fortunatamente, i suoi genitori si accorsero di questo suo talento e decisero di incoraggiarlo. Così, ogni settimana, Galileo si dirigeva in biblioteca, con suo padre o sua madre, per prendere in prestito ogni volta un nuovo libro.
Purtroppo però, com’è facile intuire, i tomi della piccola biblioteca erano pochi e Galileo finì presto di leggerli. Ciononostante, i genitori del piccolo fattucchiere trovarono una soluzione: iscrivere Galileo a una scuola di magia. Giunto all’età di tredici anni era il maghetto più prodigioso di tutta Miramastro, persino migliore degli stregoni più grandi di lui; e proprio a quell’età fece ingresso, per la prima volta in quello che sarebbe diventato il suo luogo di riferimento: Lunae, la scuola di magia del nord.
Dovete sapere che per quel giovane ragazzino, cresciuto in un luogo dove i maghi erano davvero pochi, ritrovarsi in una scuola dove tutti parlavano la sua lingua fu davvero una ventata di pura gioia. Galileo strinse subito amicizia con i suoi compagni, poi con i ragazzi più grandi e perfino con i professori, diventando una piccola celebrità all’interno della scuola. Il suo talento per le arti magiche era sbalorditivo! Non faceva altro che imparare, incantesimo dopo incantesimo, divertendosi e aiutando i suoi amici nelle prove per loro più ostiche. Per fortuna, lungo il suo cammino, incontrò persone gentili che lo incoraggiarono a migliorare e lui non fece altro, non smise mai di accrescere le sue conoscenze.
Verso la fine del suo primo anno di studi, la scuola organizzò una gita aperta a tutti gli studenti: si sarebbero recati per una settimana intera ad Adra, capitale della nazione, sede della più grande scuola di magia e dalla più grande biblioteca del mondo intero. E proprio lì si recarono il primo giorno, alla grande biblioteca. Essa lasciò tutti a bocca aperta, studenti e insegnanti: tutti, di fronte a quell’immensità di scaffali, tomi antichi e libri appena pubblicati, si sentiro piccoli, molto piccoli, perché lì, intorno a loro, si trovava tutto il sapere del mondo! La conoscenza era lì, aspettava soltanto di essere appresa.
Furono proprio l’idea di piccolenza e tutti quei pensieri, a generare un profondo senso d’inquietudine nel giovane Galileo: lui desiderava leggere ognuno di quei libri e bramava, con tutto se stesso, imparare quante più cose possibili durante l’arco della sua vita. Proprio lì, proprio allora, generata da quel senso d'inquietudine, un’idea si insinuò tra i pensieri di Galileo, l'illuminazione: non gli sarebbe bastata una vita intera per scoprire il contenuto di tutti quei libri, ma se ne avesse avute due, di vite, oppure tre… se avesse avuto a disposizione più tempo di una vita intera avrebbe potuto leggere tutto, avrebbe potuto conoscere tutto! Così iniziò la sua vera avventura: passò gli anni dell'adolescenza a studiare la natura del tempo e della sua magia e non solo, si dice che fu lui stesso ad gettare le basi ed inventare la teoria che sta alla base della magia del tempo. Infatti, in quell’epoca, la magia del tempo era ancor più temuta rispetto ad oggi e soltanto pochissimi maghi (si contavano sulle dita d'una mano) avevano provato a praticarla. Galileo era bravo, era davvero bravo, il primo in ogni corso, ma persino per lui fu arduo inventare tutto praticamente da zero; il suo unico obiettivo era quello di formulare un incantesimo che sarebbe stato in grado di frenare il suo tempo, rallentare il suo invecchiamento, così da guadagnare tutti gli istanti di cui avrebbe avuto bisogno.
Il fatidico giorno arrivò: all’alba dei suoi ventitré anni, dieci anni dopo essere entrato per la prima volta in una scuola di magia, Galileo era pronto per compiere l’incantesimo della sua vita; aveva studiato tutto nei minimi dettagli ed elaborato una formula che gli avrebbe permesso di rallentare lo scorrere del suo stesso tempo. Era una mattina primaverile e, Galileo, eseguì l’incantesimo. Passò qualche secondo prima che la magia avesse effetto. E così, all’improvviso, Galileo iniziò ad invecchiare! Invecchiare, invecchiare, invecchiare, sempre più velocemente. Per la prima volta nella sua vita, Galileo aveva sbagliato qualcosa. E, credetemi, capire che cosa fosse andato storto in un incantesimo del genere, beh, sarebbe stato ancor più difficile dell’elaborare l’incantesimo stesso. Prima che la magia cessasse, Galileo prese l’aspetto di un vecchietto sull’ottantina d’anni e, in preda alla vergogna, raccolse i tutti suoi appunti sull magia del tempo, gli appunti di dieci anni, gli appunti di una vita, e partì. Abbandonò la scuola lasciando una lettera ai suoi amici e ai suoi cari e si mise a girare il mondo alla ricerca di un mago più esperto che lo avrebbe potuto aiutare. Se solo qualcuno gli avesse insegnato a porsi dei limiti… fu l'unica cosa che non imparò mai.
Così nacque la leggenda di Miramastro che vi ho appena raccontato. C'è chi dice che, alla fine, Galileo sia riuscito a trovare una soluzione e a guadagnarsi nuovamente la sua età, trascorrendo il resto della sua vita godendosi ogni momento. Altri invece sostengono che Galileo sia ancora là fuori da qualche parte, alla ricerca di una soluzione per il suo errore. Altri ancora pensano che questo racconto sia soltanto frutto della fantasia di un bravo cantastorie. In ogni caso, la leggenda di Galileo da Miramastro resta avvolta da un alone di mistero. Io penso che nessuno mai saprà dirci se si tratti di verità oppure di finzione.»
Conclusa la sua storia, il professore si fermò in attesa della reazione dei ragazzi ma, dopo un lungo silenzio si vide costretto a riprendere la parola: «Vi ho raccontato questa storia per farvi capire quanto la magia del tempo possa essere pericolosa, anche la più piccola distrazione può comportare immensi errori, forse persino irreparabili. Ma non volevo spaventarvi.».
«Non siamo spaventati!» esclamarono in coro i ragazzi. E il professore sorrise.
«Bene molto bene.» rispose loro.
«Vorrà dire che noi diventeremo più bravi di Galileo» esclamò Claudia con rinnovato vigore.
«Non lo metto in dubbio miei cari ragazzi. Ma ora si è fatto tardi e comincia a far freddo. Perché non tornate in dormitorio? Se non sbaglio vi ho assegnato qualche compito!» rispose il professore, facendo l'occhiolino.
«È vero! Mannaggia! Claudia corriamo, voglio finire i compiti prima di cena! Grazie professore, a domani.» così Federico si congedò dal professore. Subito dopo di lui anche la ragazzina ringraziò il professore per la storia; per un istante, il professore, leggendo i suoi occhi, ebbe l’impressione che Claudia volesse porgli una domanda. Ma prima che potesse esortarla nel parlare, lei aveva già iniziato a correre dietro al suo compagno.
Il professor Malatesta si diresse verso le sue stanze; era da tanto che non raccontava quella vecchia storia. Giunto a destinazione si mise alla scrivania e, da un cassetto, tirò fuori dei fogli sgualciti e pasticciati dai caratteri di una lingua che solo lui era in grado di leggere. «Quella biblioteca. Maledetta, dannata biblioteca...» farfugliò iniziando a scrivere.
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