Qualche volta mi chiedo: se mai lo incontrassi, dovrei avere pura di incrociare il mio sguardo con il suo?
Ormis
Bentornati avventurieri, bentornati nella nostra locanda. Avidi di storie come voi, ancora, non ne ho mai incontrati. Allora, siete pronti a sentirne un’altra? Venite, accomodatevi, raccoglietevi intorno al nostro falò, prendete da bere e poi prestatemi orecchio, quella che sto per raccontarvi è un’antica leggenda, tramandata di generazione in generazione dai miei avi fino a me e alla mia gente. Sono certo che questa storia saprà soddisfare la vostra sete di avventure. Perciò, cominciamo il nostro viaggio…
Molti anni orsono esisteva un’organizzazione malavitosa nota come “Ossa Nere”, una gilda di mercenari assassini senza pietà. Erano davvero tanti i membri di questa organizzazione, si parla di centinaia, e operavano su diverse terre. Si trattava davvero di una brutta accozzaglia di criminali d’ogni tipo. Però funzionava bene, fin troppo bene purtroppo. Svolgevano attività di qualunque sorta: razzie di poveri villaggi, rapine, rapimenti, assassini… insomma, tutto ciò che poteva fruttare grana in modo disonesto era di loro competenza.
In una normalissima giornata (davvero una giornata come tutte le altre!) una piccola delegazione delle Ossa Nere, composta da tre giovani mercenari, si stava dirigendo verso la fattoria del vecchio Stedd, un povero contadino che, pochi anni prima, aveva perso l’amata moglie per via di un duello: due spadaccini ubriaconi avevano iniziato a combattere nel bel mezzo di un pomeriggio, ferendosi a morte e ferendo anche alcuni passanti. Disgraziatamente la moglie del contadino ricevette le ferite più gravi e, poco dopo, venne accolta dal gelido abbraccio della morte. Da allora il povero Stedd cominciò a covare un intenso rancore verso chiunque facesse uso di una spada ma, al contempo, iniziò a temere che la sua unica figlia potesse andare incontro ad un destino tragico quanto quello della madre. Così Stedd decise di assoldare delle guardie del corpo per la figlia: il denaro a sua disposizione era poco ma, con qualche sacrificio, sarebbe riuscito a permetterselo! Purtroppo il vecchio contadino fece l’errore di fidarsi di un membro delle Ossa Nere, Catasto D'Altimonti, un mercenario da quattro soldi. Quell'avanzo di uomo che era Catasto approfittò della debole condizione in cui si trovava Stedd: si mostrò gentile, disponibile ad aiutare a difendere una povera e fragile ragazza, orfana di madre perdipiù! In realtà il suo unico obiettivo era quello di estorcere sempre più denaro all’ ingenuo contadino, minacciandolo di rapire la figlia. E proprio così andò. Stedd, malauguratamente, accettò l’offerta del giovane e ben presto si accorse di aver firmato la sua stessa condanna. Negli anni seguenti la quantità di denaro che, ogni mese, le Ossa Nere chiedevano a Stedd per la “protezione” della figlia, aumenta vertiginosamente. Ovviamente la “protezione” a cui si riferivano era una protezione da loro stessi: se Stedd avesse pagato, loro non avrebbero rapito sua figlia. Proprio per questo motivo i tre giovani mercenari si stavano dirigendo, in quella fresca giornata, alla fattoria del povero Stedd.
I tre arrivarono in città a tarda sera e, vista l’ora, decisero di fare sosta in una locanda dove passare la notte. In fondo non c’era fretta, il vecchio Stedd non era tanto stupido da provare a scappare o imbrogliarli in un qualche modo e, perciò, gli avanzi di galera di quella gilda di furfanti avevano tutto il tempo del mondo. Sulla loro strada trovarono una modesta locanda, l’Osteria della Mezzaluna. Entrarono e si sedettero a un tavolo per ordinare un pasto caldo e passarono la serata a riempirsi la pancia facendo un gran baccano. Passò la mezzanotte ma i tre furfanti non avevano la minima intenzione di andare a coricarsi; anzi, il tono delle loro voci non faceva che diventare più alto! (forse a causa di qualche boccale di birra di troppo). Quando la locandiera, stanca dopo un’intera giornata di lavoro, si avvicinò loro per chiedergli un po’ più di calma, i tre si indignarono e iniziarono ad insultare e importunare la locandiera, facendo più baccano di prima. Chiusi nel loro piccolo angolo di mondo, protetti dalla paura che incutevano in chiunque provava ad avvicinarsi, non si accorsero di un ometto che li aveva osservati per tutto il tempo da un angolo del salone. Alla vista di quegli atteggiamenti tanto ostili verso la semplice richiesta della locandiera, l’uomo si alzò e, con passo calmo e deciso, si avvicinò al tavolo. Quando i tre lo videro ammutolirono all’istante.
«Mi dispiace per la scortesia di questi mezzi uomini ma non vi dovete preoccupare signorina, andate pure a riposare, non la disturberanno più.» Ora che le aveva parlato, anche la locandiera si era accorta della presenza di quell’uomo. Si trattava di una persona decisamente strana. Era vestita prevalentemente di rosso: scarpe rosse, pantaloni rosso e un panciotto cremisi. Anche i suoi capelli erano di un rosso scarlatto, un rosso non naturale. Eppure, emanava un’aura di pace e tranquillità tale che la locandiera si volle fidare, congedandosi con un segno del capo.
«Bene bene, ma quanto baccano che state facendo, miei cari.» Esordì l’uomo rivolgendosi ai tre energumeni. Questi ultimi erano ancora scioccati. Nel salone scese un silenzio tombale. L’uomo scarlatto, sorridendo, si rivolse ancora a loro: «Ma come, non salutare un vecchio amico?»
«No-Non è possibile...» balbettò uno dei tre.
«Che cosa?» chiese in tono calmo l’uomo vestito di rosso, poggiando una mano sulla spalla del furfante che, all'istante, si scostò spaventato. Anche gli altri due, terrorizzati, indietreggiarono.
«Tu sei morto!» iniziò a urlare uno dei tre: «Io ti ho visto morire, ti ho visto morire con questi miei occhi!» il terrore sul suo volto e su quello dei suoi compagni era indescrivibile.
«Sì, amico mio, sono morto.» proseguì l’uomo scarlatto con estrema calma: «Non ti preoccupare per la mia sorte, io sono stato fortunato, sono tornato. Sono risalito delle fiamme degli inferi ed ora sono qui per donarvi la redenzione. Ora potrete espiare ogni vostra malefatta. Non siete felici?»
«Non è possibile! Io-io… noi, noi tutti abbiamo visto il tuo cadavere bruciare!»
«Avete visto il mio corpo sgretolarsi tra le fiamme con i vostri occhi. Mi avete visto morire, anche se sarebbe meglio dire che mi avete lasciato morire. Mi avete fissano negli occhi prima di voltarmi le spalle. Ora sono io che vi guardo negli occhi.» Solo allora i tre uomini si resero conto che anche il colore dei suoi occhi era di un acceso e innaturale rosso cremisi. L'unico dei tre uomini che aveva proferito parola si inginocchiò a terra stringendosi il ventre.
«Perché fa così caldo all’improvviso? Che cosa mi hai fatto, dannat...» l’uomo non fece in tempo a terminare la frase perché… iniziò a prendere fuoco! Il calore che aveva sentito dentro le viscere si era esteso e aveva appiccato un forte incendio nell’anima di quel furfante. Il corpo dell’uomo però non si stava bruciando, né deteriorando in alcun modo. In pochi secondi la pelle del povero disgraziato divenne rossa e raggrinzita, gli occhi ruotarono dentro le orbite fino a non mostrare più la pupilla e infine, la creatura urlò e ruggì di rabbia; ma non era più un urlo umano. I due rimasti vennero sopraffatti dal terrore e si diedero alla fuga. Purtroppo per loro non c’era via di fuga. Purtroppo per loro non c’era possibilità di redenzione. Quello che fino a pochi minuti prima era un loro compagno, li bloccò prima che potessero allontanarsi troppo. Uno dopo l'altro, incrociarono lo sguardo dell’uomo scarlatto e subirono la stessa sorte del loro compagno. Prima di perdere completamente il senno, l’ultimo rimasto fece in tempo a sussurrare una domanda, anche se sembrava più un lamento: «Che cosa hai fatto… Moril… che cosa hai fatto?»
«Niente.» rispose calmo Moril «Avete fatto tutto da soli.»
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