In uno dei miei molti viaggi ho affrontato i mari di Draidh. Forse questa storia è stata una benedizione degli Dei, forse il frutto di una buona scelta. Ma se c’è una certezza è che le onde portano a galla leggende rimaste negli abissi per chissà quanti anni.
Bernie
Il sole illuminava il mezzogiorno in cielo mentre il dolce vento gonfiava le vele della maestosa Enehvyla. Una vissuta caravella a tre alberi comandata da un esperto capitano, Finbad, e un equipaggio tanto laborioso quanto gioioso.
A quel tempo viaggiavo con la mia carovana su quella stessa nave, aiutando la ciurma come meglio potevamo. Imparammo presto il mestiere del marinaio e stringemmo forti legami con tutto l’equipaggio.
Ma il mare sa essere crudele anche coi più puri e i più fedeli: dovemmo affrontare una terribile tempesta.
Il mare chiamò a sé parti del carico tra cui una buona parte dei viveri, necessari per arrivare al porto successivo. Ciò ci preoccupò e la ciurma si mise subito a calcolare quale fosse l’insediamento più vicino, senza riportare però buone notizie. Erano giorni che ormai viaggiavamo con la costa alle spalle e ritornare indietro era impossibile. Pur avendo costantemente il vento in poppa, la terra più vicina era a diversi giorni di viaggio.
«Pur con tutto il ben volere di Mrenn non arriveremo in tempo alla terraferma. Finiremo il cibo sei giorni prima e l’acqua due. Dobbiamo sperare di imbatterci in una nave disposta a darci dei viveri oppure non ci sarà scampo per nessuno. » ci disse il capitano.
Tre volte la Luna illuminò il ponte della nave e tre volte cedette il proprio posto al Sole quando, in lontananza, scorgemmo una nave.
Aveva quattro grandi vele rosse, al cui centro vi era il simbolo di un falco che combatteva con un pesce spada. In cima all’albero maestro una bandiera arancione con un cerchio nero e alcune linee gialle sventolava vivacemente, mossa in festa dal forte vento. Aveva un alto scafo e tre file di cannoni su ciascun lato. Sul castello dei rilievi in oro risaltavano sul legno grigio. Al lungo bompresso era attaccata una polena. Essa, riconobbi subito, rappresentava uno dei Sussurri di Mrenn. Il messaggero del dio del vento e della morte, appeso a sfidare il mare e a portare la morte agli stolti che lo sfidavano. Ebbi subito il sospetto che quella fosse una nave pirata.
Mi volsi verso il capitano. Pure lui era impegnato ad osservarla nel mentre che questa si avvicinava. Nonostante la nostra convivenza fosse iniziata solo da pochi giorni riuscivamo a capirci al volo. Pure lui era sospettoso.
«Lasciamo che arrivino qua?» chiesi al capitano.
«So cosa pensi, Bernie, e credo la stessa cosa. Ma che altro possiamo fare? Che loro siano pirati o meno, allontanandoci non troveremo nient’altro che acqua e morte. Con loro ci sarà una speranza. E che Jenyhela ci guardi con occhi buoni.» mi rispose.
«Così farà, capitano.» conclusi.
La possente imbarcazione si avvicinava velocemente e mentre l’ansia iniziava a prendere le nostre anime, potevamo sentire le voci dell’equipaggio alzarsi dal tanto temuto veliero. Risuonavano come un’unica melodia accompagnata dalle note del mare e del vento.
Una vita di stenti ci porta
Tra le vele e le onde,
Abbattuti dal vento
e sfidati dal mare.
Eterna battaglia,
la ciurma si squaglia
se il capitano non ti chiama
Hor’Malù.
Di spade e di rum
è la storia di noi tutti.
Una vela ci porta in vita,
la marea ci porta in morte.
Il timone gira,
Il cannone mira,
vediamo chi ora ci sfiderà
quando chiameremo Hor’Malù.
Era una vecchissima canzone pirata, come potei scoprire solo diversi anni più tardi in una biblioteca privata. Era un canto dimenticato persino dalla più antica delle onde ma che, chissà come, veniva cantato ancora da quei marinai.
Arrivati al nostro fianco in breve tempo adeguarono la loro velocità alla nostra, poi dal cassero un giovane uomo gridò:
«Salve a voi. Siete sopravvissuti alla tempesta?»
Aveva lunghi capelli neri che uscivano dal tricorno rosso che indossava. Una camicia bianca aperta faceva intravedere alcune collane in oro e minerali. Alla cintura erano appese diverse pistole e una sciabola. Dagli alti stivali si riusciva a intravedere l’impugnatura di un’altra pistola, leggermente più piccola delle altre.
Il capitano guardò il timoniere, poi si volse verso l’uomo.
«Sì, a quanto pare. Sono il capitano della Enehvyla, nave mercantile. Avete viveri da poter scambiare?»
La risposta non si fece attendere:
«Certo! Fermiamo le navi così possiamo trattare lo scambio.»
Finbad si volse verso di me e mi sorrise:
«Forse siamo stati fortunati.»
Jill, che fino a quel momento era rimasto sottocoperta, mi si avvicinò e sottovoce mi disse:
«Fossi in te mi preparerei comunque a combattere.»
Entrambi i vascelli fermarono la loro corsa e dalla misteriosa nave fu calata una scialuppa. A bordo c’erano il ragazzo che aveva urlato fino a quel momento, un uomo anziano dalla lunga barba bianca e gli occhi scavati ed un elfo dai lunghi capelli biondi e una benda verde su un’occhio.
Salendo a bordo notarono un’aria di diffidenza da parte della ciurma. Solo io e il capitano riuscivamo ad essere tranquilli in quel momento.
Il giovane fece un passo avanti.
«Mi presento a voi, compagni di marea. Sono Abard Tyorn, capitano della bellissima Fajar’Mrenn. Loro sono il mio quartiermastro Toburn e il nostromo Reliand.»
Entrambi batterono il pugno al petto, facendo poi un lieve inchino. Alcuni della ciurma ricambiarono il saluto, altri continuarono a fissarli con le mani sulle armi.
«Lei deve essere il capitano con cui ho parlato, vero?» continuò Abard, guardando verso Finbad.
«In persona. La ringraziamo per l’aiuto, la tempesta ci ha tolto le provviste.»
«Ma non la voglia di combattere, a quanto vedo! » rise Abard. Pure Finbad si lasciò andare ad una sincera risata.
«Perdonateci ma, sa, è possibile incontrare pirati in queste acque e un bel po’ di diffidenza è dovuta.»
«Beh, lo capisco. Noi diamo proprio l’idea di essere dei pirati, vero Reliand?» disse voltandosi verso l’elfo.
«Sembra proprio di sì, capitano.» rispose il nostromo, sorridendo.
«Da molto non vedevo questa determinazione a sopravvivere.» continuò Toburn.
«Dovresti conoscerla più di tutti, quartiermastro!»
«E la rispetto anche, capitano!»
«Bravo. Ora, Finbad, potete abbassare le armi e contrattare con me e il qui presente Reliand per i viveri.»
Il capitano, accompagnato da Raghlin e Jill, si avvicinò ai tre mentre la ciurma si disperdeva sul ponte e nella stiva. Dopo qualche minuto il quartiermastro si staccò dal gruppo e si avvicinò a me.
«Tu devi essere Bernard Haudenarf, giusto?»
«In persona, per servirla.»
«Da quel che ho sentito potrei servire io te. Questa vecchia testa conserva dentro sé tante storie e…»
«Ve lo ha detto Jill?»
«No, il nano. Raghlin si chiama, se non erro. Siete uno dei successori del “Distruttore di navi”, vero?» continuò l’anziano quartiermastro.
Era da molto che non lo sentivo nominare. La cosa che più mi faceva strano, in verità, era sentirlo da lui. Un uomo che avrà avuto massimo sessant’anni non avrebbe potuto conoscerlo. Sarà un nome tramandato dalle varie storie di mare. O meglio, così credevo io.
«Certo. Nelle mie vene scorre il suo stesso sangue, perché?»
«Curiosità, pura e semplice curiosità.»
«Dunque, avete parlato di storie o sbaglio?»
«Non sbagli ed è ciò che avrai. Una bella storia marinaresca, una delle tante leggende che animano queste acque. Cosa credete dei miti, Bernard?»
«I miti? Posso definirli in tanti modi. Possono essere realtà intrecciate con la magia oppure essere fantasie create dalla realtà. Possono essere una storia creata per insegnare qualcosa al mondo o essere una crudele e inanimata verità, senza ragioni e senza perdono.»
«Un’idea piuttosto ampia. Ne ha mai visto uno, dal vivo?»
«Non saprei risponderle, Toburn. Talvolta viviamo miti, incontriamo persone scritte nella storia del mondo e nemmeno ce ne accorgiamo.»
«Beh, io posso dirti che da marinaio ne ho viste di leggende. Leggende diventare incredibili o deludenti realtà. Ho visto il velo della magia squarciarsi dinanzi i miei occhi increduli e ricreare trame, tessere con fili che sembravano spezzati. Ho visto segreti del mare che nessuno potrà sapere.»
Pensai alle solite storie dei marinai, gonfie di fantasia ma prive di realtà. Forse mi sbagliavo.
L’anziano continuava a parlarmi, guardando verso l’orizzonte.
«Io fui uno di quelli che per l’ultima volta videro la leggendaria nave “Bocche di fuoco”.»
Mi incuriosii. Da buon appassionato di storie piratesche riconobbi quel nome. Il veliero stregato, chiamato dai pochi fortunati superstiti “Bocche di fuoco”, senza equipaggio e senza meta.
Non riuscii nemmeno a ragionare che subito Toburn mi trascinò nel suo racconto.
«Ero ancora un ragazzo quando mi arruolai nella Fajar’Mrenn. Era bella allora come adesso e solcava i mari con un giovane e ambizioso capitano. Fui attirato dal suo modo di parlare con noi, uomini di terra, delle meraviglie e dei tesori che il mare celava e decisi di partire con lui.
La prima volta che mi separai dalla terra fu in una mite notte di luna piena. Io ero a poppa. Guardavo l’orizzonte infinito e nel cielo stellato vedevo animarsi i mostri e gli eroi dei miti passati. Ero così immerso in quell’infinità oscurità che la fantasia riusciva a farmi sentire il suono dei cannoni e delle spade che si scontravano. Mi sembrava di sentire i versi di quei mostri dimenticati nelle profondità del mare. All’improvviso era come se mi fossi risvegliato da un sonno mai compiuto. Il capitano si era messo accanto a me e prendendomi sotto il suo braccio mi portò al timone.
“Guarda...:” mi disse “... il mare è pieno di possibilità. Abbiamo un mondo davanti e dietro di noi. Lo abbiamo anche sopra, dove le stelle dimorano, e sotto, dove nei profondi abissi risiedono chissà quali creature e tesori. Tutt’intorno a noi l’universo vive e noi siamo liberi, immersi in esso. Abbiamo vele spinte dal vento della libertà e, nonostante le difficoltà, arriveremo al prossimo porto. Toburn, non è fantastico?”. Non riuscii a rispondere. Avevamo vele spinte dal vento della libertà. Quella verità a volte mi sembra davvero tremendamente lontana. Quasi me ne dimentico.
Passai la prima notte sveglio a prua. Da una parte c’era il mondo, dall’altra il mio capitano. Il mio faro in quella notte di tanti, tanti anni fa.
Ero ancora un mozzo quando vissi il battesimo del fuoco. La Fajar’Mrenn si trovò a fronteggiare nemici formidabili, sì. Ma nulla fermava il capitano. Sembrava uno di quei condottieri delle leggende. Di quelli che sogni di essere e che vorresti vedere almeno una volta nella tua vita. E mentre il fuoco e il ferro attorno divampavano e distruggevano, lui continuava a lottare. Una sciabola in una mano e una moneta nell’altra, guardava il pericolo in faccia e lo affrontava volta dopo volta, colpo dopo colpo, cannonata dopo cannonata. Accumulammo tesori molto in fretta e, non so nemmeno come, dopo poco mi trovai ad essere il quartiermastro del vascello. Il braccio destro di quel capitano che tanto ammiravo.
Ma il mare sa portare gioia e tesori come sa portare grama e terrori. Fu così che una sera il cielo all’improvviso si fece scuro come il più profondo degli abissi. Il vento iniziò a sferzare e a lottare col mare. Khlatun e Mrenn avevano deciso di combattere quella notte e noi ci trovavamo in mezzo alla loro furia. Vedere gli uomini con cui avevo condiviso il viaggio venire portati via dalle onde e dal vento mi faceva piangere il cuore. Li vedevo già a disperarsi in quel terribile blu, per poi rimanere immobili e impotenti, mangiati da chissà quali bestialità marine. Ma forse loro hanno avuto una sorte migliore di quelli che riuscirono a sopravvivere.
Comunque, con l’arrivo del nuovo Sole la tempesta si calmò. Ora solo la quiete circondava la ciurma in lutto. Persino il capitano sembrava essere abbattuto dalla situazione.
Credemmo il peggio passato e subito iniziammo a riparare i danni. Non passò nemmeno un’ora quando, da prua, un mozzo chiamò “Vascello! Vascello a babordo!”. Il capitano sembrò improvvisamente rianimarsi e col balzo di un delfino prese il timone. L’entusiasmo del capitano fu contagioso e il morale della ciurma tornò ad alzarsi. Così tutti pregustavano un’altra schiacciante vittoria contro chissà quale nemico. Il vento sembrava voler partecipare alla festa, iniziando a soffiare da poppa.
Con rinnovata grinta ci avvicinavamo velocemente al misterioso veliero in lontananza. Cercavamo di guardare coi cannocchiali ma non riuscivamo a capire molto di quella nave. Non sembrava essere particolarmente minacciosa, in realtà. Aveva grandi vele grigie senza alcun disegno e una bandiera azzurra. Il legno era nero come la notte più scura con alcuni rilievi in argento. Forse avremmo dovuto capire che non sarebbe stata una buona idea avvicinarsi. Ma eravamo stolti in cerca di denaro e gloria, perciò non ascoltammo la coscienza né il buon senso.
Come noi ci avvicinavamo, così quella nave sconosciuta continuava la sua marcia verso di noi. Presi di nuovo il cannocchiale e guardai sul ponte del vascello. Non c’era nessuno! Spostai lo sguardo verso il cassero e ancora nessuno. Nemmeno al timone che, chissà come, rimaneva immobile. Avvisai immediatamente il capitano e pure lui iniziò a sospettare qualcosa. “Preparate i cannoni, devono essere fissi su quella nave!” disse, girando poi il timone. Avevamo il vento al giardinetto quando notai un tetro dettaglio. Guardai le vele della nave ed erano gonfie, ma il vento stava soffiando dalle nostre spalle. Quella dannata nave non si sarebbe potuta muovere in quel modo. Dissi pure questo al capitano, che mi rispose solo: “Moriremo come nelle leggende!”. La ciurma guardò il proprio capitano, poi la nave.
Ebbi il tempo di capirlo e non riuscii a far altro che gridare “Bocche di fuoco!”. Vidi alcuni stolti dell’equipaggio lanciarsi immediatamente in mare. Non sapevano nulla delle leggende, allora. Non importava cosa avessi fatto, quando vedevi la “Bocche di fuoco” o ingaggiavi la battaglia o perivi tentando, invano, di sfuggirle. Eravamo a diverse centinaia di metri quando quel misterioso vascello sembrò bloccarsi su una secca con un sordo tonfo.
“Rivelati a noi, mostro dei mari!” gridò il capitano, ridendo.
Forse eravamo diventati folli o forse l’unica cosa che potevamo fare era ridere prima di morire, ma la fragorosa risata si estese a tutto il nostro vascello. Dopo qualche secondo la misteriosa nave iniziò a cambiare. Il suo legno si spezzava e si contorceva, alzandosi lentamente dal mare. Le assi nere che prima formavano lo scafo erano diventate zampe, artigli, corpo, ali e teste di una vera leggenda di quei mari. Le vele divennero grigie ali di quel maledetto drago. La bandiera azzurra divenne una cresta che, sfidata dal vento, impazziva. Quella nave in poco tempo si era tramutata in un enorme drago a tre teste. Un mostro di legno, tela e piombo che minacciava i malcapitati che lo incontravano. Avevamo sentito quella maledettissima creatura cambiare mentre raggiungevamo i nostri posti. Il capitano mostrava un coraggio ammirevole, facendoci sentire tutti quanti al sicuro sotto il suo comando. E mentre la creatura cigolava e ruggiva la Fajar’Mrenn si avvicinava indomita alla minaccia.»
«So cosa penserai, Bernard. Probabilmente credi che questa sia una menzogna, oppure se ci credi ti chiedi perché in quell'occasione ci siamo fiondati nelle braccia della morte. Non posso che risponderti che ciò è successo davvero, moltissimo tempo fa. Abbiamo sfidato la sorte quel giorno e non possiamo dire di aver vinto. E mentre dalle bocche del drago iniziò a sprigionarsi un tremendo fuoco, iniziammo a cantare. Perché, in fondo, sapevamo che nessuno sarebbe riuscito a vincere quel giorno, e la musica era l’unico modo per accettare il destino che incombeva su di noi. Mentre le nostre parole all’unisono si alzavano dalla nave il drago iniziò ad avvicinarsi. Il suo corpo ligneo cigolava e sembrava lamentarsi della forza delle onde. Quell’immensa e animata struttura, passo dopo passo, vinceva il mare e ruggiva come una bestia feroce. La Fajar’Mrenn scivolava libera sull’acqua e sembrava essere benedetta dalla marea e dal vento. L’attesa fu infinita. Caricavamo i cannoni mentre lo spazio e il tempo scorrevano attorno a noi. Nonostante l’imponente presenza, coloro che rimasero sulla nave riuscivano ancora a svolgere le proprie mansioni senza alcuna distrazione. “Perché se si deve morire, almeno che si muoia bene!”, come disse il capitano. Il nostro condottiero era sul cassero e rideva. Brandiva ancora una volta la sciabola e la moneta e non mostrava alcuna paura. In quel frangente due entità si preparavano al duello. Da una parte c’era la Felice Morte, dall’altra il Felice Capitano. E non devi biasimarmi se m’illusi che anche quella volta il comandante sarebbe uscito vincitore.»
«”Fuoco!” gridò con gioia il capitano quando il mostro fu a tiro. I nostri cannoni si unirono al nostro coro e, bordata dopo bordata, ricordammo al mare cosa volesse dire sfidare la Fajar’Mrenn. Le palle di piombo, come dolci messaggi di morte, si schiantavano sul corpo della bestia. Ogni proiettile che lo trafiggeva faceva crescere le fiamme nelle due bocche laterali. Ma quella che ci preoccupava era quella centrale. Ancora non si era aperta e nonostante i danni che gli avevamo procurato non accennava a farlo. Noi continuammo a colpirlo come potevamo, senza tregua, fino a quando iniziò a rispondere agli attacchi. Rilasciò il fuoco con tutta l’ira che lo animava, investendo il nostro veliero. Sembrava che il Sole si fosse presentato sul ponte della nostra nave. Riuscii a ripararmi per un pelo e fui salvo, ma in pochi della ciurma riuscirono a sopravvivere a quel maledetto attacco. Sentivo attorno a me la gente gridare preghiere in cerca di aiuto o di morte, perché per loro avrebbe voluto dire pace. Il fuoco ora infestava la nostra nave, divorandone le assi e il suo equipaggio. I pochi sopravvissuti dovettero adoperarsi per contenere i danni, ma io stavo guardando altrove. Non vedevo più il capitano e nemmeno lo sentivo. Giunto sul cassero guardai in mare e fu lì che mi sorprese. Stava nuotando come uno squalo verso la bestia. Fu allora che immaginai il suo piano. Aiutato da altri due della ciurma giunsi ad un cannone e iniziai a caricarlo. Se il nostro capitano voleva raggiungere quel mostro avrebbe avuto bisogno di un’esca. Caricammo l’arma e sparammo a più non posso. Non ricordo nemmeno quante volte la ricaricai. Era diventato un gesto automatico e nella mia idea c’era un solo pensiero: dare l’occasione al mio capitano. La bestia si accorse di noi e smise di ruggire. Credemmo di avercela fatta, di aver attirato la sua attenzione, ma ben presto scoprimmo che per questo sacrificio c’era un prezzo. Lentamente la bocca della testa centrale si aprì. Non riuscimmo a scorgere nulla. Non c’era alcun fuoco ad abitare quella testa, quindi cosa ci stava per accadere?»
«Fu meno di un secondo. Da quando sentimmo il tuono fino a quando un enorme palla di cannone investì i miei due compagni. Schegge volarono e si conficcarono a fondo nella mia pelle. Mi sembrò come se il tempo avesse rallentato il suo corso. Riuscii a percepire il legno farsi lentamente strada nel mio corpo. Sentii il dolore crescere come le fiamme attorno a me. Caddi sul legno, intriso del sangue che usciva dal mio corpo. Rimasi lì a guardare il cielo mentre il mostro ruggiva. Sentii come un comando provenire dal vento. “Alzati!” mi disse e così feci. Raccolsi tutte le energie e strisciai verso il buco lasciato dal proiettile scagliato dalla bestia. Non ricordo nemmeno quali maledizioni scivolarono dalla mia bocca fino a raggiungere gli abissi, ma rammento benissimo cosa vidi quando arrivai. Il capitano aveva raggiunto il corpo del mostro e lo stava scalando, lento ma inesorabile. La bestia nemmeno se ne accorse e con la sua possenza continuava a minacciare la Fajar’Mrenn, tremendamente provata dalla battaglia. Non si accorse nemmeno quando Abard entrò in uno dei fori che le cannonate avevano fatto. Quello che successe lì dentro non lo so. So solo che a un certo punto quel drago iniziò a dimenarsi e a sputare fuoco sulla nostra nave. Ancora una volta riuscii a sopravvivere all’attacco. Quel mostro ruggì un’ultima volta, poi crollò sul mare e si inabissò. Prima fu il fuoco, poi fu l’acqua alzata dallo schianto e intorno a me non ci fu più nulla se non il silenzio. Mi ritrovai lì, da solo. Io fui l’unico sopravvissuto a quel funesto incontro. Io fui l’unico a vedere la morte della “Bocche di fuoco”.»
«Ma, aspetta… Come hai chiamato il capitano?» chiesi.
«Toburn, si torna a bordo. Qua hanno caricato tutto.» disse l’elfo.
L’anziano quartiermastro mi fece l’occhiolino e mi lasciò un biglietto.
Non ebbi il coraggio di continuare ad indagare, quel giorno. Ci salutarono e poi tornarono a cantare.
Quando furono lontani, aprii il biglietto:
È la tempesta che ci ha fatto incontrare, Bernard.
Un’altra ci farà incontrare ancora.
Confido nel fatto che capirai ciò che ti ho raccontato.
Lo capii solo molto più tardi. Quel giorno avevamo incontrato una nave fantasma.
Dopo allora ho affrontato altre tempeste ma del vecchio Toburn non ho ancora visto l’ombra.
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